Riflessioni su fondi extra-contabili, occulti o neri
E’ quasi superfluo dire che tutte le operazioni compiute da un’impresa debbano trovare riscontro sui libri contabili regolarmente tenuti, questo per dare corretta informazione ai soci ed ai terzi della reale situazione economica e patrimoniale dell’impresa ed del risultato finale conseguito.
Tutto ciò che viene gestito extra- contabilmente, ovvero tutte quelle operazioni che NON sono passate nel libro giornale ufficiale costituiscono entrate o uscite monetarie gestite da chi amministra fuori dalle risultanze del bilancio, sono i fondi occulti, sono la “contabilità in nero”.
Il “nero” costituisce l’avvio per la commissione di una molteplicità di reati, quali la irregolarità del bilancio d’esercizio della società, reato per false comunicazioni sociali, nonché fonte di sanzioni di carattere fiscale, anche penale.
Scorriamo brevemente gli aspetti proposti.
La “contabilità ufficiale” è quella regolarmente tenuta nei libri contabili numerati progressivamente in ogni pagina e in taluni casi vidimati in ogni pagina. Il libro giornale, il documento principe delle registrazioni, deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa.
Se parte di tali operazioni non viene registrata sul libro giornale della società, si va a costituire la contabilità nera, la quale annota le operazioni appunto extra-contabilmente.
Tali scritture sono tenute in modo irregolare, con tutte le conseguenze civili, penali e tributarie.
La contabilità nera è sicuramente una violazione fiscale sia sotto il profilo IVA che sotto l’aspetto della dichiarazione dei redditi.
Fonte di maggior evasione fiscale, la contabilità nera ha la propria genesi dalla mancata emissione di fatture, di ricevute e/o scontrini fiscali, comunque con l’eliminazione della documentazione prevista dalle varie norme.
Qualora l’evasione fiscale risultante dalla “contabilità nera” superasse le soglie di cui al D.Lgs. 74/2000, sarà assoggettata anche a sanzione penale.
La contabilità nera, come sopra definita non è rilevata nel bilancio della società, questo comporta il mancato rispetto delle statuizioni civili, e cioè che il bilancio d’esercizio non è redatto con chiarezza e non rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Il bilancio viene denominato “Bilancio irregolare”.
Ciò può comportare fonte di responsabilità dell’amministratore verso la società, per comportamento antigiuridico.
La costituzione di c.d. fondi neri o occulti, di per sé, costituisce un’operazione che si pone in conflitto con gli scopi della società e con i suoi stessi interessi a porgersi nel mercato con criteri di gestione economica trasparenti e corretti, non potendosi sostenere la pertinenza all’oggetto sociale o la corrispondenza all’interesse sociale di atti che tendono a costituire e posizionare altrove elementi del patrimonio della società, privandoli della funzione di strumentalità con l’attività della società” (Trib Milano sez civile 21/4/2005).
Aspetti penali: bilancio falso
La “contabilità nera” – sotto il profilo penale – può essere osservata nei seguenti aspetti:
1) falso in bilancio (art. 2621 c.c. e seguenti);
2) corruzione tra privati (art. 2635 c.c.).
Falso in bilancio
La contabilità nera è la tipica “omissione” di “fatti materiali”.
La nuova struttura del “falso in bilancio” distingue i seguenti casi:
- a) esposizione di fatti materiali “rilevanti” non rispondenti al vero, ovvero l’omissione di fatti materiali rilevanti ( 2621 c.c.) in cui amministratori, direttori e comunque preposti sono soggetti alla pena della reclusione da uno a cinque anni
- b) fatti di lieve entità ( 2621-bis c.c.); pena da sei mesi a tre anni
- c) non punibilità per particolare tenuità ( 2621-ter c.c.).
L’entità dei “fondi neri” – quantificati dalla consulenza tecnica in euro 370.872,32 – potrebbe essere qualificata un “fatto materiale rilevante” ai sensi dell’art. 2621 c.c.
Corruzione tra privati
Art. 2635 – Corruzione tra privati.
[1] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.
[2] Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.
[3] Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.
[4] Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.
[5] Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.